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Voci da Naturandia - Itinerario n. 8
Castelseprio-Lonate Ceppino-Castelseprio

 

Indice

Parcheggio Casello n. 5 – Lungo Olona – Roggia Molinara Mulino Zacchetto - Fontanile Ontano e sua roggia – Parcheggio Casello 5

Questo itinerario richiede scarponcini a tenuta d’acqua e pantaloni rigorosamente lunghi.
Il percorso parte dal parcheggio nel piazzale dove termina la via che proviene dalla SP 42 Torba-Castelseprio, in località Crotto. Qui sorgeva un’antica trattoria (ora Kapuziner Platz), facilmente raggiungibile dai sentieri e dalle carrarecce provenienti dai pianalti di Castelseprio, Cairate e Lonate Ceppino.

Il toponimo “Crotto” potrebbe derivare dal fatto che la trattoria fosse originariamente costruita a ridosso del conglomerato o di un’antica frana o che utilizzasse un anfratto naturale, dove la temperatura si mantiene costante in estate e inverno, per conservare cibi e bevande.

Il Casello n. 5 è ora gestito dall'Associazione Amici della Ferrovia Valmorea, con aperture satgionali. Per molti anni, è stato custodito, per molte decine di anni, dalla Signora Orsolina. Era una signora molte dolce e sensibile, che parlava volentieri della vita passata a stretto contatto con l’umore mutevole del fiume Olona. La sua porta era sempre aperta ai passanti ed aveva sempre un bicchiere d’acqua, uova fresche o qualche fiore del suo giardinetto da donare.

Dal parcheggio dirigersi verso sud e piegare a sinistra verso l’Olona. Prima di imboccare a sinistra lo stretto sentiero che costeggia il fiume, fermarsi ad ammirare il paesaggio dal ponte. Guardando dal parapetto sud notare la cascatella, memoria della roggia molinara che alimentava il mulino Lepori (poi pettinificio Clerici, poi tintoria Zerbi).

Portarsi sul sentiero che costeggia il fiume. Qui l’erba è sempre alta e l’umidità favorisce la crescita di molte piante di equiseto. La vegetazione sulla sponda è formata da giovani aceri, robinie, fusaggine o berretta del prete, sambuco e noccioli. Una piccola colonia di fallopia japonica (pianta erbacea molto infestante) si è già installata e fa bella mostra di sé.

La vista del fiume alla nostra destra; il versante vallivo di Lonate Ceppino a est ricoperto da una fitta vegetazione e ricco di felci; gli alberi che segnano il nostro sentiero e il versante a ovest oltre un immenso campo verde, offrono un colpo d’occhio che non può fare a meno di rasserenare lo spirito.

Il primo segno di vegetazione “acquatica” ci è dato da un gruppo di giovani ontani neri lambiti dall’acqua del fiume (il fittone, la loro radice centrale, affonda in profondità, proteggendoli anche dalla forza del fiume in piena). Ci sono anche molte piante di olmo campestre con foglie piccolissime e fitte) che crescono lungo la sponda, dove vegetano benissimo anche molti platani. Solitario, in mezzo al grande prato, un giovane salice bianco che sfrutta la forte umidità del terreno in cui cresce. In riva al fiume, ancora l’invadente fallopia japonica.

In questa zona ho notato la presenza di molti esemplari di noce nero, da giovani pianticelle ad alberi molto grandi. Il fiume in questo tratto non vuol saperne di starsene tranquillo nel suo alveo e gioca a ridisegnarsi il corso: sul versante orientale si sta creando la sua curva d’erosione, mentre sulla sponda che noi stiamo percorrendo si crea quella di deposito. Tanti ceppi nuovi di platano spuntano dai vecchissimi tronchi tagliati alcuni anni fa e vaste colonie di aglio ursino aiutano il processo di fitodepurazione.

Qui fotografai, una piccola colonia di anemoni gialli (inclusi nell’elenco di bioindicatori forestali – ne trovai un altro ciuffo isolato nel muro della ferrovia vicino allo stagno del Buzonel). Alcune pianticelle di erba d’argento (o medaglie del papa) abbelliscono il sentiero.
Molte piante di acero di monte crescono in riva al fiume o di fianco al sentiero. Di fronte a noi un magnifico pioppo nero solitario cresce sulla riva opposta. Sulla sponda che stiamo percorrendo, due aceri di monte sembrano seguire la corrente, dalla posizione dei loro tronchi scuri, prostrati verso l’acqua. Purtroppo un’altra colonia di fallopia japonica fa bella mostra di sé…

Dopo poche decine di metri, nonostante i platani sembrino impedirglielo, il fiume cerca di allargarsi, erodendo qua e là le due sponde.
In mezzo al prato, alcune piante di larici, morti o sofferenti, fanno pena perfino ai cagnolini di passaggio: “Che ci facciamo noi, giganti della montagna, in questa Valle tanto umida?”

Ancora noce nero e una pianticella di salicone, mentre un salice bianco sembra in procinto di morire. Un enorme ciliegio selvatico cresce al limitare di un boschetto formato da platani, aceri, molto noce nero, olmo campestre, mentre altre distese di aglio ursino imbiancano il sottobosco. Non poteva mancare la quercia rossa e questa luce di metà mattina crea un’atmosfera molto suggestiva, con il manto bianco di aglio ursino che si perde a vista d’occhio.

Il sole filtra tra i rami e indugia sulle tenere foglie dell’acero, quasi trasparenti nel loro verde delicato. Un bellissimo nocciolo, non avendo alberi troppo vicini, riesce ad espandere la sua bassa chioma.

Torniamo sul fiume e calpestiamo la sabbia depositata sulla sponda. In pochi anni, questa curva di deposito si è alzata di almeno un metro ed è probabilmente invasa dal fiume solo in tempo di piena.

Fiume che continua a crearsi la curva di erosione sull’altra sponda, dove prima o poi farà cadere un pezzo di pendio. Peccato, perché sulla sponda di Lonate Ceppino passava un sentiero molto panoramico dal quale si poteva raggiungere la riva del fiume.

Se non fosse per questi massi avventizi (che frenano la corrente a monte costringendola a erodere la sponda e la spingono poi ad erodere quella opposta), qui il fiume sembra quasi slacciarsi una camicia troppo stretta e si lascia andare in un alveo molto “allargato”.

Questa foto mostra un sasso (o un panino farcito?) che sa raccontare una lunga storia: guardate un po’!
Un paio d’anni fa in questa località sentii il verso di un picchio nero (molto diverso da quello del picchio rosso e picchio verde) e poco dopo mi imbattei in questo tronco che portava i chiari segni della sua presenza (confermata poi dalla supervisione di un esperto).

Il tronco è stato ora rimosso: per chi era una minaccia? Forse, se avessero saputo che: Le piante morte o marcescenti, siano esse ancora “in piedi” o ormai cadute a terra, rivestono un’estrema importanza faunistica all’interno del bosco in quanto rappresentano importanti siti di rifugio e nidificazione per numerose specie, ospitano importanti comunità di invertebrati che a loro volta sono fonte primaria di cibo e fungono da posatoio per Uccelli rapaci. Pertanto è da evitare il loro abbattimento a meno di verifiche di sicurezza per fruitori e/o passanti.
Tosi G. e Zilio A., 2000. Progetto SIT-FAUNA

Dopo qualche minuto, si giunge alla congiunzione della roggia molinara che un tempo muoveva le pale dell'antico Mulino Zacchetto, dove la fallopia japonica ha colonizzato un bel tratto di argine. E' uno dei due mulini di “Vico Seprio” (l’altro, dei Lepori, a Lonate Ceppino), inizia la sua storia nel 1546 con 3 rodigini e passa di proprietà in proprietà fino ad assumere, nel 1730, la denominazione che ancora resta: Mulino del Zacchetto (gestore del mulino) dei Lambertenghi (proprietari). Nel 1869 il mulino viene ristrutturato e passa di gestore in gestore. Dal 1896 al 1919 passa di società in società. Dopo la seconda guerra mondiale il Mulino Zacchetto (toponimo inalterato per due secoli), vide l’introduzione di una nuova ruota. Attualmente gli edifici sono in stato di avanzato degrado.
Sulla sponda opposta, notiamo una piantumazione recente di pioppo nero (?) e poco più avanti una piantumazione di pianticelle giovanissime: a pioppo nero o misti (?).

Al di là possiamo immaginare il corso del fiume Olona, seppure la distanza non permetta di indovinarne la vegetazione di sponda.
Un bell’alberello di pruno selvatico, con le lunghe spine sul tronco e fogliame molto fitto, cresce solitario. L’acqua della roggia è abbastanza pulita e nell’insieme offre uno spettacolo suggestivo.

Non ho mai visto così tanti platani crescere a ridosso uno dell’altro. Nelle mie convinzioni fino ad oggi, il platano era l’albero dei grandi viali per eccellenza, o comunque un albero cittadino, seppure grandi esemplari vivano e vegetino benissimo anche lungo il fiume Olona. Ma qui, in questo tratto del fiume e lungo queste rogge non ancora troppo “manipolati”, cresce a profusione: da grandi alberi, a ceppaia, a giovani alberi sempre raggruppati a formare una breve fila. Non finisco mai di imparare!

Un’altra cosa che mi lascia perplessa è perché, quando si eseguono dei lavori, non si provveda a rimuovere le ramaglie abbandonate nei campi, in prossimità della riva. In caso di forti piogge o di fiume in piena, non rischiano di essere trasportate dall’acqua e formare ingorghi che bloccano i ponti o le griglie sul fiume?

Giovani pianticelle di salice bianco stanno ricrescendo lungo la roggia. Alcuni ciuffi di cannuccia di palude spuntano dall’erba alta e tra l’aglio ursino, occhieggiano le foglie dei gigli d’acqua che fioriranno a Giugno. Di nuovo un grosso ceppo di platani, vicino ai quali cercano di crescere anche arbusti di noccioli, fusaggine o berretta del prete e un biancospino fiorito e profumatissimo. Il corniolo sanguinello si prepara alla candida fioritura, sovrastato da alcuni alti frassini.

Al di là della roggia parecchie piante di pino strobo, certamente non spontanee ma che favoriscono forse la biodiversità. Lungo la roggia i monconi di ontano nero tagliati, con la tipica colorazione rosso-arancione (È per questo che vengono chiamati alberi della morte o, come li chiamavano i bambini della Valle quando giocavano a spezzarne i rami, “sanguinelle”).

Finalmente un bell’esemplare di salice bianco vicino agli immancabili platani, all’ombra dei quali vegetano molti noccioli. A sinistra cominciamo a vedere un ontaneto. Perfino in inverno è facile distinguere le sagome degli ontani neri anche da lontano: la colorazione rossiccia data dalla corteccia di rami e tronchi, dai numerosi piccoli frutti, i tronchi quasi inchinati verso il suolo. E dove crescono loro potete giurarci: c’è acqua. La roggia segnata da grossi salici bianchi, prosegue verso nord verso l’ex mulino, ma il nostro itinerario torna sulla ciclopedonale.

Una grossa pianta di edera abbellisce la cabina del metanodotto (?). Si segue la breve stradina sterrata e si gira a sinistra. Proprio di fronte, un biancospino che in primavera spicca con la bella e profumata fioritura tra la fitta vegetazione del pendio formata da aceri, robinie, noccioli, qualche farnia e molte felci nel sottobosco.

Si percorre la ciclopedonale fino a quando si incontra un’altra stradina sterrata a sinistra: vale la pena dare un’occhiata da vicino al grande frassino che spicca imponente nella piccola macchia boschiva formata da altri frassini, aceri, noce nero, olmo campestre, robinie e noccioli. Se volete riposare, una panchina naturale (un pezzo di conglomerato staccatosi dal versante vallivo con altri massi accanto) è lì pronta ad accogliervi.

Un gruppo di olmi sulla destra segnalano i binari della ferrovia Valmorea ferrovia Valmorea che si stanno attraversando. Ammirato il frassino e gli altri alberi che formano un piccolo pezzo di bosco, si torna indietro ma, invece di raggiungere la ciclopedonale, proseguire verso le costruzioni che si vedono a sinistra. Qui il terreno è molto umido, come raccontano i salici bianchi vicino ad un traliccio arrugginito e abbattuto e come confermano le foglie di gigli d’acqua. Infatti, poco più avanti, segnalato dalla presenza di un unico bellissimo ontano nero, a sinistra c’è un piccolo fontanile: il fontanile del Crotto. Presumo che la sorgente originale si trovi poco più a monte, sotto i salici e i gigli d’acqua.

Questa pozza d’acqua riesce sempre ad incantarmi: con i riflessi, spesso rotti dal salto di qualche ranocchia infastidita dalla mia presenza e con la presenza di questo bellissimo, solitario ontano nero.

Armatevi di altro spirito di avventura e non tornate sulla ciclopedonale, ma seguite il piccolo corso d’acqua che esce dal fontanile, facendo molta attenzione a non inciampare su rovi o monconi di tronchi che affiorano. Nell’acqua limpida della roggia vivono tantissime rane: non riesco a distinguerne la colorazione né il gracidìo, ma è tutto uno spiccare salti e nascondersi sott’acqua. Noto con piacere la “fioritura” di un bel ciuffo di carice spondicola e, tra l’erba alta, spuntare un ciuffo di giunco.

Al di là della roggia, un tronco di ontano nero che, seppur malandato, è certamente utile: le sue radici (che ospitano tra le nodosità un fungo microscopico), servono a migliorare il suolo arricchendolo di azoto e sostanza organica. Ai suoi piedi, un mucchio di ramaglie abbandonate, pronte ad essere travolte e riportate in acqua a fare danni. La roggia scorre tranquilla, nel suo percorso ondulato, sempre costeggiata da ontani neri, platano e noccioli e col sottobosco verdissimo.

Aglio ursino, equiseto e giunco denotano la presenza dell’acqua: non sbagliano mai! Vicino ad un manufatto di cemento, un tubo metallico fa da fontanile, con l’acqua che affiora lentamente in superficie, allagando, come ce ne fosse bisogno, anche il prato lungo la roggia dove queste pianticelle vivono.

Diventa impossibile proseguire lungo la roggia e conviene tornare, riattraversando i binari della ferrovia Valmorea, sulla ciclopedonale.
Solo per poco…, poi si scende nuovamente verso la roggia, con i riflessi di altri ontani neri che ci meravigliano ancora. Fanno da sfondo il vasto prato verdissimo e la vegetazione del pendio di Lonate Ceppino.

Carici nell’acqua e gigli d’acqua, aglio ursino) a volontà e molti ontani neri prostrati sulla roggia: ce ne sono davvero molti e questo è confortante, vista la quasi scomparsa di questi alberi preziosi in lunghi tratti di fiume.

In un gruppo di platani contiamo circa dodici tronchi! E ancora ontani, sull’una e sull’altra sponda. Nell’acqua le prime pianticelle di crescione d’acqua (che ne indica una certa purezza) e quello che potrebbe essere gramignone d’acqua.
La roggia scompare all’interno del depuratore e si è costretti, da un pino strobo e dalla recinzione, calpestando alcuni grossi sassi, a tornare sulla ciclopedonale. Di fronte ci accolgono ancora ontani neri: vuol dire che altra acqua scende dal pendio o dal pianalto.
Si giunge al parcheggio, delimitato da un filare di photinia (che niente c’entra con questo ambiente).

Stessa cosa dicasi per gli abeti rossi piantati a mitigare la vista del depuratore. Vorrebbe sembrare un paesaggio montano (a meno che gli esperti non li considerino utili per favorire la biodiversità), ma un salice bianco afferma prepotentemente che questa è una “zona umida”.

Il casello n. 5 è davanti a noi e chiude questa passeggiata

a cura di Giuliana Amicucci Dal Piaz

foto di Marino Bianchi. Alberto Pala, Giuseppe Goglio

 

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