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Benedetta nel 1668, la chiesetta venne realizzata per volontà del conte Giuseppe Besozzi, il quale donò alcune proprietà al fine di costruire un oratorio in ricordo della peste del 1630 e dei suoi morti. La terribile pestilenza aveva, infatti, ridotto la popolazione a poche centinaia di persone: all'oratorio, dedicato a San Gregorio Magno, venne aggiunto l'appellativo del Lazzaretto perché nelle vicinanze si trovavano il lazzaretto e il cimitero in cui furono sepolti gli appestati. È importante ricordare che San Gregorio riordinò liturgicamente e diede impulso al culto dei morti che è da sempre invocato contro la peste, e a lui furono intitolati diversi lazzaretti come quello della vicina Busto Arsizio. San Gregorio Magno del Lazzaretto ha conosciuto diversi interventi di restauro nel corso della propria storia, il primo dei quali pochi decenni dopo la fondazione. Dal 2008 fino a metà 2011 si è svolto un restauro anche sugli esterni dell'oratorio, totalmente disintonacato e rifatto con un rivestimento di malta di calce.
L'edificio presenta una struttura architettonica semplice, con una facciata incorniciata da due lesene e timpano semicircolare; il portone centrale immette in un vestibolo, il quale precede l'ambiente sacro ad aula unica. All'interno quattro statue lignee: lungo le pareti della navata, in due nicchie, trovano posto S.Antonio Abate (che tiene in mano fiamme di fuoco) e S.Domenico; collocate ai fianchi dell'arco, che introduce alla zona dell'altare, la statua di San Gregorio Magno (in vesti papali) e quella della Madonna Addolorata. Le prime tre sono opera dell'olgiatese Stefano Palma (fine 1800), mentre l'Addolorata appartiene all'artigianato della Val Gardena. Questa Madonna (copia dell'originale andato perduto) è da sempre venerata dalla popolazione soprattutto nei momenti particolarmente difficili e dolorosi: nel 1884, l'oratorio ospitò i malati di colera e l'Addolorata venne molto invocata per liberare gli abitanti dalla malattia che imperversava ad Olgiate.
Prima dell'altare, a destra, troviamo l'affresco con Sant'Ambrogio eseguito da Biagio Bellotti (1714-1789). Dietro l'altare trova posto l'opera più preziosa di questa chiesa: si tratta della grande tela con San Gregorio Magno e le anime purganti. Realizzata negli stessi anni in cui venne benedetto l'oratorio, è riconducibile alla mano di un pittore appartenente alla scuola di Paolo Pagani. La presenza documentata del Bellotti ad Olgiate e le analogie formali con S.Michele a Busto Arsizio (opera appunto del Bellotti) consentono di formulare l'ipotesi che il protiro della chiesa cimiteriale di San Gregorio a Olgiate Olona non fosse un porticato aperto, ma un 'mortorio' suddiviso in tre spazi: quello centrale, aperto verso l'esterno, era l'accesso alla chiesa, i due laterali erano destinati all'esposizione delle ossa. Questa ipotesi è avvalorata dalla presenza degli ossari a pozzo, e ancora dalla volta tripartita, con i due archi centrali che probabilmente erano in corrispondenza alle due pareti divisorie interne, poi demolite; le finestre erano certamente le due ovali che sono state individuate in occasione dei recenti restauri; altre due finestre erano forse aperte nelle pareti divisorie scomparse; la porta di ingresso alla chiesa era, con ogni probabilità, quella dal profilo tipicamente bellottiano, che oggi separa l'atrio dall'aula principale; altrimenti non si spiegherebbe la sua forma. Non deve stupire il fatto che per entrare in chiesa i fedeli dovessero passare attraverso l'esposizione delle ossa, se si pensa che si giungeva all'ingresso solo dopo avere attraversato tutto il cimitero; e questo non avveniva solo nelle cappelle cimiteriali, ma in tutte le chiese del tempo. Se questa ipotesi risultasse corretta, si tratterebbe di una soluzione originalissima, che non ha riscontro in altri episodi architettonici, un ulteriore inedito colpo di genio del Bellotti. Sempre per analogia con il 'mortorio' di San Michele a Busto Arsizio e possibile ipotizzare che, anche a Olgiate, l'interno sia stato affrescato dallo stesso Bellotti.
COS'E' UN MORTORIO? I 'mortori' erano cappelle che, mediante l'esposizione delle ossa dei defunti, avevano la funzione di indurre nei passanti pie meditazioni sul mistero della morte. Si trovavano nelle chiese parrocchiali - che allora erano tutte circondate dal cimitero - e, a maggior ragione, nelle chiese cimiteriali. La tipologia più frequente era quella di un vano ricavato nelle murature d'ambito della chiesa o di un'edicola di piccole dimensioni, con una finestra - spesso ornata, e nel '700 con il caratteristico profilo mistilineo - che consentiva la visione delle ossa esposte all'interno.
Fonte: VareseFocus
Testo: Erika Bassi
Foto: Marino Bianchi, Erika Bassi
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